Un report realizzato da Medu, con la collaborazione di Unhcr, fotografa le condizioni socio-sanitarie delle persone migranti e rifugiate che vivono nella città. E chiedono a Governo, Comune e autorità sanitarie di intervenire: “approccio emergenziale all’accoglienza. Serve sistema strutturato e campagna vaccinale che raggiunga tutti”.
“Sono arrivato in Italia nel luglio 2009. Dopo qualche tempo che vivevo qui, dei connazionali mi hanno consigliato di andare a cercare lavoro al sud, vicino a Foggia, dove mi hanno detto che avrei trovato facilmente un impiego nella raccolta dei pomodori. Ho fatto richiesta di asilo ed ho ottenuto una protezione umanitaria di 2 anni. Il mio permesso di soggiorno però ora è scaduto. Sono venuto a Roma, da due o tre mesi, sono stato fermato più volte dalla polizia per dei controlli. Una di queste volte mi hanno portato in Questura, dove ho avuto un altro appuntamento per rinnovare il documento, anche se con il decreto Salvini la protezione umanitaria non esiste più e sarà difficile farlo. Vivo per strada perché non ho un lavoro, se non saltuario, non ho documenti e non so dove andare. Mi sento perso”. Quella di J, 34 anni, originario della Costa D’Avorio è una delle testimonianze contenute in “Margini”, il ”Rapporto sulle condizioni socio-sanitarie delle persone migranti e rifugiate che vivono nella città di Roma, realizzato da Medici per i Diritti Umani (Medu) in collaborazione con l’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr).
Un’indagine a tutto tondo sulla città eterna, dove vivono oltre 14mila persone in strada e in situazioni abitative precarie. E che sottolinea come le condizioni di vita si siano aggravate con la pandemia da Covid-19, che ha spinto i più fragili ai margini della vita pubblica e sociale. L’obiettivo del report - spiega Medu- è raccontare in modo lucido e accurato, attraverso dati, immagini e testimonianze dirette, le condizioni socio-sanitarie di migranti, richiedenti asilo e rifugiati che vivono in alcuni dei più grandi insediamenti informali della capitale d'Italia, tra edifici occupati ed aree intorno alle grandi stazioni ferroviarie”. E sulla base della realtà fotografata dagli operatori e dei volontari dell’organizzazione, il rapporto propone un’analisi delle numerose e gravi criticità rilevate ma anche di alcune buone pratiche emerse nel corso della pandemia, formulando raccomandazioni alle istituzioni locali e nazionali.
Dallo studio emerge, in particolare la presenza, presso gli insediamenti informali raggiunti da Medu, di un’elevata percentuale di richiedenti asilo e rifugiati che vivono in condizioni di isolamento e marginalità sociale. Il 55% si trova a vivere in strada, in contesti estremamente precari, quali la stazione Termini e l’area Tiburtina/Verano, il restante 28% in edifici occupati. C’è poi un’elevata percentuale, tra i richiedenti asilo e rifugiati, di persone con bisogni specifici non adeguatamente prese in carico dai servizi, in particolare persone con problemi di salute e disagio psichico, anziani, persone sopravvissute a tortura e trattamenti inumani e degradanti, minori non accompagnati. Il rapporto rileva anche diversi ostacoli nell’accesso ai diritti fondamentali, tra cui l’iscrizione anagrafica, l’iscrizione al Ssn, l’accesso ai servizi sociali e alle misure di sostegno al reddito, l’accesso ad un’abitazione dignitosa. Tra le altre problematiche c’è la scarsa integrazione sanitaria della popolazione assistita, con oltre la metà dei pazienti non iscritta al servizio sanitario nazionale (35% tra le PoC) e impossibilitata ad accedere ai servizi e alle misure di prevenzione e tutela della salute anche nei mesi di picco della pandemia. E il ritardo, da parte delle istituzioni sanitarie, nella programmazione e implementazione delle misure di screening e contenimento del Covid-19 e nell’avvio della campagna vaccinale presso le popolazioni hard to reach.
In generale “si rileva un approccio emergenziale all’accoglienza con la prevalenza del sistema di accoglienza straordinario sul Sistema di Accoglienza e Integrazione atto a favorire l’inclusione socio-abitativa e lavorativa e l’accesso ai diritti” spiegano le organizzazioni.
Le richieste a Governo, Comune, Prefettura e autorità sanitarie
Il lungo report si chiude con una serie di richieste indirizzate al Governo, al Comune di Roma, alla Prefettura e alle autorità sanitarie. In particolare, al Governo si chiede di incentivare il passaggio ad un sistema di accoglienza sul modello del Sai, basato su realtà di piccole dimensioni, inserite nel tessuto sociale del territorio, potenziando l’offerta di servizi specifici volti all’individuazione della vulnerabilità e a promuovere l’autonomia abitativa, lavorativa e l’inclusione sociale. Di proseguire e potenziare i servizi di informativa socio-legale a migranti e rifugiati quali misure di prevenzione al fenomeno degli onward movements e di promuovere la governance ed un più efficiente sistema di gestione dei casi vulnerabili o con necessita’ specifiche a livello nazionale e a cascata a livello regionale e locale.
Un punto fondamentale riguarda poi l’accesso alla vaccinazione per la popolazione hard to reach.
Al Comune di Roma e alla Prefettura la richiesta è quella di evitare sgomberi forzati degli insediamenti informali in assenza di concrete misure di accoglienza alternative e di tutele minime, in particolare per le persone con fragilità e bisogni speciali. E di predisporre strutture a bassa soglia e dotate di servizi di base per l’accoglienza temporanea delle persone in transito, tra le quali è presente un numero consistente di minori non accompagnati. Inoltre, si chiede di ridurre le barriere burocratiche e amministrative che ostacolano l’effettività dei diritti, in primo luogo permettendo alle persone senza dimora o che vivono in insediamenti informali di effettuare l’iscrizione anagrafica e di ottenere in tempi celeri la “residenza fittizia” presso i diversi Municipi del territorio. Alle Autorità Sanitarie, infine, le organizzazioni chiedono di potenziare i servizi sanitari territoriali di prossimità, in particolare nelle zone della città ad alta intensità abitativa e a rischio di maggiore isolamento, dove è maggiore il numero di insediamenti precari e di persone a rischio di esclusione socio-sanitaria. E di prevedere l’implementazione di approcci di salute culturalmente adattati, oltre che la presenza di mediatori linguistico-culturali preso i principali presidi sanitari territoriali (ambulatori, consultori, centri di salute mentale, etc.). Per Medu e Unhcr, le autorità sanitarie dovrebbero collaborare in modo strutturato, sulla base di un approccio di sussidiarietà e di specifici protocolli, con le organizzazioni del terzo settore nell’implementazione di attività di screening, prevenzione e promozione della salute presso i gruppi di popolazione hard to reach. E fare tesoro e replicare la metodologia di intervento adottata dalle organizzazioni del terzo settore nella programmazione delle future iniziative per la prevenzione e il contenimento del Covid-19.
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