Sono tornato ad ambientare un romanzo in periferia perché mi sembra che ci sia una periferia nuova da raccontare”. Una trasformazione e un conflitto latente di cui parlare…. Tommaso Giagni, in libreria con il romanzo “I tuoni”, racconta su ilLibraio.it la sua sfida narrativa
Mentre le terrazze affacciano su un centro sempre più vuoto, un luna-park spettrale svenduto al turismo, altrove la città si guadagna il suo nome. L’ossessione per la messa a valore ha sottratto agli abitanti il cuore geografico, a Roma e non solo, nell’equivoco che fa coincidere il valore col valore economico. Se il centro è stato offerto in sacrificio alla turistificazione (si legga Airbnb città merce di Sarah Gainsforth) altrove, dicevo, la città vive. Tanto che la formula usata ai bordi (“Andiamo a Roma”) per indicare il centro andrebbe forse rovesciata: chi abita dentro le Mura, quando ne esce, dovrebbe dire: “Andiamo a Roma”.
In un bel volume dall’approccio interdisciplinare, Periferia (a cura di Carlo Cellamare e Francesco Montillo), si spiega come a Tor Bella Monaca sia diventata tradizione che chi si sposa risistemi il portone condominiale della scala. Sarebbe competenza dell’ente pubblico che gestisce gli alloggi, ma nessuno ci fa affidamento. Lo smantellamento progressivo del welfare, l’assenza di istituzioni di riferimento, generano un’auto-organizzazione vitalissima che sopperisce alle responsabilità del pubblico.
Tra il 2005 e il 2008 ai bordi di Roma sono stati inaugurati i giganteschi mall che hanno spinto il centro commerciale in un’altra dimensione. Accanto, sono sorti insediamenti residenziali che avrebbero dovuto prendere l’onda buona – l’arrivo dei servizi – e invece sono rimasti isolati.
Dal 2008 a oggi, la crisi economica ha picchiato duro. Sulla marginalità, naturalmente, ma almeno altrettanto sui ceti medi. Che nella disabitudine, invece di attivarsi con la solidarietà, tendono a chiudersi.
Nel 2017 più di una persona su quattro, tra i residenti di Roma, abitava fuori dal Grande Raccordo Anulare. Con facilità si è travalicato l’anello che sembrava un confine. Più in generale la città si è espansa scriteriatamente, lasciando altri vuoti nella sua estensione bucherellata – è la grande città europea col minor tasso di densità.
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In principio erano le promesse. Si annunciava la nascita di zone servitissime e ben collegate, oasi verdi e lontane dal caos urbano, sobborghi simili a quelli che riempirono gli Stati Uniti nel secondo dopoguerra – e l’immaginario: villette a schiera col prato davanti e il garage per l’auto da lavare nel weekend. Il risultato ha invece la forma di luoghi scomodi e remoti, satelliti di centri commerciali ipertrofici, dove ci si aggrappa all’unica grande strada spesso intasata.
I nuovi quartieri di periferia hanno palazzi con case perlopiù invendute, dove i volantini pubblicitari escono dalle cassette della posta. Mezzi privati come unica possibilità praticabile di movimento, parchi non attrezzati, cartelli di agenzie immobiliari che penzolano inutili. Non sono le gated community di J. G. Ballard (da Cocaine Nights a Regno a venire), questi quartieri, ma una tensione simile li attraversa sotto l’aria anestetizzata.
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