"...l’opera non come mero prodotto ideato per abbellire una facciata, bensì processo di riappropriazione di spazi pubblici e identità. "
È quello che fa Mario D’Amico, 68 anni, street artist di periferia. Nel 2013 fonda il movimento dei “Pittori Anonimi der Trullo” e il nome non fa mistero delle sue origini romane. Il Trullo è una borgata a sud-ovest della Capitale e da quando Mario è tornato a viverci ha cambiato volto. Quasi a ogni angolo spuntano murales bellissimi, spesso accompagnati da versi in rima. Li scrivono i “Poeti der Trullo”, la costola primaria da cui è nato il progetto di D’Amico. Prima di eseguire il disegno, lui e il suo stuolo di artisti citofonano e mostrano i bozzetti ai residenti.https://28c89c1ed3443bb488851bc09f6999c6.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html
Se approvati proseguono con la realizzazione, che porta con sé anche qualche piccola miglioria: una passata di stucco per tappare i buchi sui muri, tagliare l’erba alta. L’intento è scuotere i residenti dall’immobilità: «Lo faccio per i regazzini, la generazione mia ormai è persa, ma loro no».
Chissà se Mario sa quale gesto primordiale si nasconde dietro al tosare l’erba nel quartiere. «Fin dai tempi antichi, spiega la psicologa e psicoterapeuta Donatella Caprioglio, l’essere umano ha bisogno di addomesticare l’ambiente in cui vive. Un prato in ordine attrae l’occhio perché esprime la cura verso quel luogo, e percepire cura e amore diminuisce la paura sociale. La street art risponde alla stessa esigenza. Dipingere pareti ed edifici significa, secondo Caprioglio, «dare un volto alla superficie, quasi rendendola umana. Colorando si racconta un’idea, anzi di più, si dice: “io esisto”».
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