Inizi di novembre. Quartiere di San Lorenzo, alla periferia di Roma. Trattoria “al Pommidoro” di Aldo e Anna Bravi. Pier Paolo fuma lentamente sotto un lampione, mentre aspetta il suo amico, Ninetto. La sua mente passa dal viaggio appena concluso a Stoccolma proprio insieme al Davoli, al film che ha da poco finito di girare tratto dai testi del marchese de Sade, fino alla nuova sceneggiatura, ultimata da poco. Con Ninetto dovrà discutere proprio di questo. Spera solo di non rimanere deluso come sempre per non essere riuscito a cristallizzare la sua volontà artistica in immagini abbastanza efficaci da rendere giustizia alle sue idee.
Ci prova da sempre, ci ha provato per tutta la sua vita. In poesia, con i suoi versi in friulano scritti a cavallo della guerra, in prosa, con Ragazzi di vita o Teorema, così come su pellicola, nei film che l’hanno reso celebre. La cena non dura a lungo e mentre Ninetto si allontana con la sua famiglia, Pier Paolo sale sulla sua Alfa e muove verso la stazione Termini. Sembra sicuro, non ha incertezze nei movimenti.
E così, giunto al caffè Gambrinus, avvicina Pino Pelosi. Pier Paolo non sa chi sia Pino, e quest’ultimo dirà di non aver riconosciuto uno degli intellettuali più chiacchierati e divisivi dell’Italia di quegli anni? Come può non conoscere chi ha lavorato, tra gli altri, con Anna Magnani e con Totò? Come può non aver associato quella folta capigliatura scura alla mente che si celava dietro i chiacchieratissimi La Ricotta o Decameron? Come non può aver capito che chi era al volante di quell’auto rossa era lo stesso uomo capace di guidare la cinepresa fra i Sassi di Matera per rappresentare il suo Vangelo secondo Matteo? Pino Pelosi non risponderà mai né a queste, né a tante altre domande.
Secondo le indagini, è lui l’ultimo ad averlo visto vivo, ma in quell’omicidio si hanno poche certezze. Le stesse (o quasi) che si avevano il 2 novembre del ‘75, il giorno dei morti. Quel giorno, tanto i borghesi quanto gli operai, seguendo le edizioni dei telegiornali avrebbero appreso della morte di un regista cinquantatreenne sulla spiaggia di Ostia. Un omosessuale, un comunista, un intellettuale. Un figlio devoto, un uomo assetato di vita. Pier Paolo Pasolini…
Non era sicuramente un’impresa facile rendere giustizia a Pasolini, ma Barth David Schwartz sembra esserci riuscito. L’autore, infatti, riesce a ricostruire con grande efficacia le immagini, le sensazioni, le idee che si nascondono dietro l’opera di Pasolini.
Districarsi fra ore di girato, così come fra le centinaia di parole dei suoi testi, e ancora, muoversi fra i suoi tanti articoli di giornale, è stato un lavoro sicuramente arduo ma efficace, perché riesce a portare in superficie l’essenza più vera della produzione pasoliniana. Andando oltre, però, Schwartz riesce anche a far conoscere il lato più umano di Pier Paolo, al di là dell’intellettuale. Il suo attaccamento alla madre Susanna, così come il rimpianto per la morte del fratello. Il rapporto conflittuale con il padre, così come con i vari editori e produttori con cui avrà a che fare come regista o autore. Ma anche, le sue innumerevoli amicizie nel mondo degli intellettuali (quella decennale con Moravia e, quindi, con Morante e Maraini), così come i suoi affetti più cari nel mondo del sottoproletariato borgataro (con Sergio e Franco Citti, o ancora con Ninetto Davoli).
Insomma, il saggista statunitense riesce, al netto di contrapposizioni ideologiche ormai decisamente superate, a fare un servizio di verità sulla vita di Pier Paolo e sul lavoro di Pasolini: tutto viene confutato e verificato, ma niente viene trascurato. Nemmeno le pagine più buie e più chiacchierate, come i processi, le censure e la sua spasmodica vita notturna. Proprio quella che, forse, l’ha condotto alla morte.
AUTORE Barth David Schwartz
TRADUZIONE DI Paolo Barlera
GENERE Romanzo
EDITORE La nave di Teseo2020
ARTICOLO DI Salvatore Di Nuzzo
Da: https://www.mangialibri.com/pasolini-requiem