“Coraggioso”. È questa la definizione più calzante del libro di Riccardo Cristiano Bergoglio o barbarie. Francesco davanti al disordine mondiale pubblicato da Castelvecchi. Non solo perché l’autore parla di un papa parafrasando un’espressione di Rosa Luxemburg: “Socialismo o barbarie”. La sfida che questo lavoro lancia è ben più impegnativa. Vaticanista di lungo corso della Rai, Riccardo Cristiano sceglie, con audacia di uscire dai palazzi vaticani. E analizzare la figura del papa non in base alle complesse dinamiche di governo e di gestione dell’istituzione ecclesiale. All’autore interessano i pensieri, le emozioni, i sommovimenti che Francesco scatena sulle vite che incrocia, direttamente o indirettamente. E per raccontarlo si mette in gioco fino in fondo: parla, cioè, di che cosa questo vescovo di Roma arrivato dalla fine del mondo ha provocato in lui, agnostico impenitente. Tutto il volume, in equilibrio tra saggio e confessione, è rivolto a un ipotetico “tu”, un lettore con cui il narratore sceglie di confrontarsi, in modo volutamente non asettico. “Parlare troppo di me mi infastidisce – racconta -. Ma insomma devo dirti che quando ero giovane con alcuni amici cercavo un nome accettabile da tutti, e nobile, che potesse unirci senza più dispute nel campo del movimento operaio. (…) E così proponemmo di unire le sinistre nel nome di Rosa. (…) L’idea di socialismo o barbarie mi ha sempre commosso, perché pensavo che il socialismo fosse un termine “puro”, senza macchia, che poteva smacchiare anche il comunismo. Insomma, in “socialismo o barbarie” sentivo e sentivamo una verità: avevamo il compito di cambiare la storia”. “L’abbiamo cambiata?”, si domanda senza timore di lasciare aperta la risposta, Riccardo Cristiano. All’epoca, lui e i suoi amici ignoravano che Rosa Luxemburg avesse ripreso il suo efficace slogan dal programma di Karl Kautsky, il “grande rinnegato” dei comunisti ortodossi. E che il sogno di tanti giovani del socialismo di Rosa – forse non tanto libertario come allora potevano immaginare – si sarebbe sgretolato insieme al Muro di Berlino.
Queste riflessioni sono passate rapidamente nella mente di Riccardo Cristiano un giorno di molti decenni dopo, quando la Guerra fredda era un capitolo dei libri di storia e l’impero sopravvissuto, quello statunitense, era gestito a colpi di tweet da Donald Trump. “Un carissimo amico, teologo italiano e docente negli Stati Uniti, mi chiamò, come per fortuna usa fare quando passa a Roma, e mi chiese di incontrarci per un caffè in un bar vicino al Vaticano. Seduto davanti a me, mentre discorrevamo, mi disse che se fossi andato negli Stati Uniti avrei visto anch’io che “l’alternativa a Bergoglio è la barbarie”. (…) L’idea “Bergoglio o barbarie” arrivò davanti a me come un fulmine a ciel sereno, inatteso e sorprendente. Poteva riguardarmi?”.
La risposta è ovviamente affermativa. Francesco aiuta l’agnostico Cristiano a scoprire l’unico antidoto davvero efficace alla barbarie incalzante: lo sforzo a oltranza per imparare a vivere insieme. “Non si tratta di pensare che il suo magistero sia perfetto, tanto meno che lo sia il suo governo. Si tratta di riconoscere che il mondo si radicalizza perché si radicalizzano le sue malattie, in particolare la globalizzazione piatta e gli etno-nazionalismi, quelli che vogliono tornare a dividerci in orde, compatte e impenetrabili e quindi eccitate dai tamburi di guerra, come tutte le orde. Nessuno è perfetto, ma questo non toglie che nel suo impegno per il vivere insieme c’è la risposta prima alla nuova barbarie”.
Leggendo queste pagine, si intuisce forse l’unico aspetto ancora non raccontato davvero di Jorge Mario Bergoglio, al di là della quantità infinita di pubblicazioni. Una prospettiva che il grande mainstream mediatico sembra incapace di scavare. Che cosa, davvero rende papa Francesco così cruciale nel panorama mondiale, così amato dalle maggioranze silenziose e odiato da certi benpensanti e circoli salottieri devoti? Che cosa lo rende così conosciuto e, al contempo, tanto incompreso da certa narrativa mordi e fuggi? Non è il carisma, che indubbiamente ha, ma non è sufficiente a spiegare la sua capacità di “muovere gli spiriti” del singolo, per utilizzare il linguaggio ignaziano. Non sono le scelte controcorrente che lo rendono tanto umano e avvicinano al mondo la figura ieraticamente distante di un papa. Non è nemmeno il suo “essere latinoamericano” e, dunque, più abituato al contatto con l’altro. A rendere straordinario – perché nell’ordinario panorama politico, spirituale, sociale nessuno lo fa con tale lucidità – Francesco è la sua capacità di cogliere i “luoghi teologici del contemporaneo” e di indicarli, a credenti e non credenti. Parola difficile “luogo teologico”, spesso utilizzata e abusata. Luogo teologico è la realtà concreta attraverso la quale Dio – per chi ha fede – o la Storia, la vita, lo spirito del tempo, ci parla per indicarci la via. Luogo teologico sono i migranti, emblema concreto e “effetto collaterale” di un sistema economico che esclude un numero crescente di persone. Luogo teologico è l’Amazzonia ferita e resistente. Una terra “nostra” anche se geograficamente lontana perché la sua distruzione uccide anche noi. Siamo tutti collegati, aveva detto la Laudato si’, con cinque anni di anticipo sugli intellettuali del Covid. Luogo teologico è la guerra sempre meno convenzionale e più crudele verso i civili. Luogo teologico è la crescita dei fondamentalismi, di qualunque segno, e la loro abilità nel manipolare i simboli religiosi per conquistare adepti. Francesco non si stanca di indicarli, senza paura di calarsi fino in fondo nei chiaroscuri del tempo presente, nei crinali del mondo, nelle frontiere della storia. Perché nessuno possa dire di non aver visto. Al credente e a qualunque uomo e donna di buona volontà la decisione finale di che cosa fare con quello sguardo. Nessuno, né Dio né il papa, possono sostituirsi al sacro dovere di scelta del cuore e della coscienza umani. Jorge Mario Bergoglio li raggiunge sulla soglia in punta di piedi, senza farsi largo a spintoni con la forza della dignità del successore di Pietro. E continua instancabile a sussurrare la Parola. Perché Lei, non le strategie clericali, lo guidi nella direzione della vita, propria e altrui.
“Bergoglio o barbarie” non è uno slogan. È la domanda a cui ciascuno è chiamato a rispondere.
Illustrazione di Elisa Francioli
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