(Dalla pagina FB/quivivejeeg/).
“A me non piace la narrazione degli eroi e dei perdenti; io non sono un’eroina, io sono incazzata nera e se sto qui è perché questo posto mi ha insegnato a gestire la rabbia e a vedere il bello anche nello schifo che c’è intorno”. Seduta su una panchetta di legno, pressata da scaffali zeppi di libri, Claudia Bernabucci si racconta con passione e schiettezza, intrecciando vita personale e riflessioni politiche. Il posto a cui fa riferimento è il Cubo Libro, quattro pareti di cemento grigio e murales slabbrati, piazzate su un fianco di Largo Mengaroni. Il Cubo è uno di quei luoghi capaci di raccontare #TorBellaMonaca molto più di tanti articoli di cronaca. Uno spazio senza senso: impossibile indovinare a cosa fosse destinato nella mente di chi lo ha progettato. Un valore, però, glielo hanno dato le lotte degli abitanti del quartiere e degli attivisti de El Chentro Sociale Torbellamonaca, che nel 2005 lo hanno trasformato in una biblioteca popolare, piccola ma viva. Poi, circa 13 anni fa è arrivata Claudia che, insieme all’amica Francesca e ad altri soci, ha dato vita all’Associazione Cubo Libro. “Quando l’ho visto me ne sono subito innamorata”, racconta, “mi ero appena iscritta alla facoltà di scienze dell’educazione ma non mi sono filata nulla della vita universitaria, perché imparavo molto di più stando affacciata alla porta del Cubo per vedere chi arrivava”. Oltre la soglia, infatti, c’era e c’è un quartiere magmatico, dove non è nata ma che da oltre venti anni è casa sua.Inizialmente, l’incontro tra Claudia e Tor Bella Monaca è stato filtrato dall'Istituto di Istruzione Superiore Edoardo Amaldi di Roma, dove ha frequentato il liceo scientifico. “Ci sono arrivata per una scelta non mia”, spiega, “perché ero brava a scuola e quindi non mi era concesso di fare quello che volevo, cioè il liceo artistico”. Non sono però legati allo studio i ricordi più forti che lei ha degli anni della scuola superiore. “Ho visto un quadro del mondo che non mi aspettavo e mi ha fatto rendere conto che ‘non ti curar di loro ma guarda e passa’ non è la mia frase, non mi appartiene nemmeno un po’; a me quello che vedevo faceva stare male profondamente”. Ma cosa vedeva? L’elenco che snocciola per rispondere alla domanda è lungo: una carissima amica diventata tossicodipendente ed altri amici che hanno tentato il suicidio, il ragazzo più bello della scuola distrutto dalle anfetamine, il bidello arrestato per spaccio. “Tutte cose che mi facevano stare male, anche perché già venivo da un mio personale stato di malessere”. E la risposta a quel malessere è arrivata sotto forma di un incontro per lei insolito, quello con Suor Rita. “Era la mia professoressa di religione, un medico, una grande donna, fondatrice, insieme a Don Paolo, dell’oratorio della Parrocchia Santa Rita - Tor Bella Monaca RM, dove sono state fatte le lotte per l’integrazione dei rom e dove è stato aperto un presidio di medicina solidale per malati di AIDS”. E grazie lei che Claudia ha iniziato a fare volontariato con i più piccoli. “I bambini di Tor Bella Monaca mi hanno fatto capire quanti problemi inutili ci facciamo noi adulti e quanto è importante sorridere e ridere”. Ancora oggi, Claudia dedica la maggior parte del suo tempo e delle sue energie ai bambini di Tor Bella Monaca, dentro e fuori quel Cubo curioso. Il piccolo parallelepipedo dall’aspetto sgangherato accoglie tutti, da 0 a 99 anni. “Non abbiamo mai chiesto documenti o messo un filtro; gli unici che non accettiamo sono fascisti e razzisti”. Non si giudicano le scelte altrui, al Cubo. “A me frega solo se tu fai male a chi c’è intorno, con le parole o con i gesti, tutto il resto è una grande ipocrisia”. Si lotta, al Cubo, cercando di fornire alle persone strumenti di emancipazione. “Questo è il senso di tutta la battaglia politica di Mario e del Chentro: si portano strumenti, non soldi; perché il denaro crea meccanismi di potere tra chi li dà e chi non li ha”. Ed è proprio il potere ciò che più infastidisce Claudia. “Sono schifata dalle relazioni di potere e da chi strumentalizza gli altri per il proprio tornaconto; è questo ciò che negli anni mi ha reso scomoda e mi ha fatto fare selezione”. Ma è anche ciò che l’ha fatta restare a Tor Bella Monaca. “Io sto qui perché avevo un bisogno a cui questo posto ha risposto, sto qui perché volevo stare qui e non potevo stare altrove”. E intorno a quello stare si è coagulata un’esperienza fragile e forte allo stesso tempo, fatta di volti, di gesti, di occasioni. Perché “per fare il Cubo Libro non serve il Cubo Libro, servono le persone, i bambini, le idee”.