Su quanto l’emergenza sanitaria per il Covid-19 abbia influito sulla società e sulla politica, considerando «come queste due realtà ne siano state colpite» e quali possano essere «le trasformazioni che ci attendono», ha posto l’attenzione il quarto incontro del ciclo “Non è una parentesi” curato dalla parrocchia di San Giuliano. Introducendo la serata di riflessione di venerdì 21 maggio, che ha visto dialogare don Rocco D’Ambrosio, docente di Filosofia politica alla Pontificia Università Gregoriana, e l’urbanista Carlo Cellamare, il parroco don Massimo De Propris ha ribadito che «il fine di queste nostre conversazioni serali è quello di cercare di imparare da questa crisi, senza sprecarla, come ha ammonito Papa Francesco».
D’Ambrosio ha osservato come «una prima considerazione superficiale» ci porta a dire che con la pandemia e le conseguenti limitazioni e restrizioni «sono cambiati i contesti nei quali vivere le nostre relazioni, essendo stati ad esempio per la maggior parte del tempo in casa e in famiglia, e sono mutati anche gli strumenti mediante cui le viviamo, usando maggiormente la tecnologia, come è stato per il lavoro».
Ancora, la sottolineatura dell’esperto su quanto «il nostro Paese ha bisogno di crescere in termini di solidarietà sociale ed economica», tenuto conto che «nella società civile il numero di coloro che si impegnano nel volontariato e dell’attivismo civico non supera i 3 milioni di persone, su una popolazione adulta totale di circa 50 milioni di abitanti».
Anche Cellamare ha sottolineato che «tanto più ci sono situazioni di difficoltà, tanto più le persone tirano fuori una grande energia creativa», notando come «il Covid-19 ci ha insegnato e mostrato che dai problemi si esce insieme, sfruttando quelle reti di relazione preesistenti rispetto alla crisi» ossia «tutte quelle realtà attive sui territori, spesso informali, che si prendono cura del proprio contesto, tutelandolo». Il docente di Urbanistica alla Sapienza, rilevando «l’importanza di uscire dall’aula per andare a conoscere le realtà sul campo, nella convinzione che la ricerca debba essere al servizio del territorio, valorizzandone le energie», ha parlato della «vitalità soprattutto delle periferie, per molti stereotipo del degrado, che si rivelano invece luoghi di produzione di cultura e di politica grazie al grande impegno dei cittadini che si attivano e si fanno carico delle situazioni e dei servizi, autogestendosi». A questo elemento, «fatto di processi partecipativi di riappropriazione degli spazi che nascono dal basso, dove c’è la compresenza delle difficoltà e del germe del cambiamento», si affianca e si contrappone «il tema della distanza delle istituzioni dai territori», mentre «l’intervento e l’investimento economico pubblico sono fondamentali, uniti alla costruzione di relazioni che passa attraverso la conoscenza dell’altro».
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